FLOOR WORK…PERCHE’?

Come è nata la mia passione nei confronti del floor work?

Dobbiamo senz’altro risalire al periodo universitario, quando dopo 4 anni di kung fu, tai ji, ba qua ed altre arti marziali cinesi, ho iniziato a praticare ju jitsu. Allo stesso tempo con i ragazzi più appassionati facevamo allenamenti extra di lotta libera e brasilian ju jitsu. Passavo all’incirca 8 ore a settimana sul tatami, e una bella fetta di quel tempo era speso stando a terra.

Il nostro maestro di allora proponeva sempre una serie di esercizi e drills molto interessanti dove il pavimento la faceva da padrone.  Ho continuato a praticare per altri 4 anni sport di combattimento in generale (con una breve incursione anche nelle MMA) e poi ho dovuto abbandonare in quanto gli impegni lavorativi iniziavano ad essere più pressanti.

Per diversi anni mi sono dilettato con allenamenti solamente in palestra ma sentivo che mancava qualcosa. Quel qualcosa non era solamente il lavoro a terra, il contatto con il pavimento e le sensazioni che mi dava, ma l’idea di un allenamento che rendesse il mio corpo più libero di muoversi, più capace. Ero quello muscoloso, ma in realtà non mi muovevo bene per nulla.

La mia postura era una schifezza e soffrivo di mal di schiena perenne. Le mie capacità coordinative erano una schifezza anche perché, come ho già raccontato altrove, da bambino non sono mai stato uno a cui piaceva muoversi: ho sempre fatto sport fin da piccolo, i miei genitori mi hanno sempre spronato a fare qualcosa, ma non mi divertivo a giocare a calcio con i miei amichetti, non mi arrampicavo, non ero temerario e stavo tutto il tempo di fronte al computer a giocare. In questo modo ho, purtroppo, saltato delle fasi di crescita che sarebbero state molto importanti per me in tutta la vità.

Sappiamo infatti bene che, durante la vita, ci sono varie fasi sensibili per diverse abilità: non avevo allenato la mia neuroplasticità (che altro non è che la capacità grazie al quale il nostro sistema nervoso centrale può modificare le sue connessioni, permettendoci di apprendere) in quanto continuavo a vivere seguendo routine prestabilite e facendo sempre le stesse cose. Anche come sport la scelta non è stata delle migliori in quanto i miei genitori mi fecero praticare nuoto per 7-8 anni (il famoso sport “completo” che poi completo non è per nulla!!).

Intorno al 2014, dopo che da anni avevo iniziato a studiare neurologia funzionale applicata al movimento, inizio ad interessarmi ad un approccio più multilaterale e, diciamo diverso. Frequento i primi corsi con Ido Portal e da lì sboccia il mio amore.

Inizio a praticare le cose viste ai corsi e approfondisco sempre di più con altri insegnanti di fama mondiale: Tom Weksler, Davide Bonetti, Paolo Benedetti, Nil Teisner, Stefan Crainic ed il gruppo di Fighting Monkey solo per citarne alcuni e tutti loro svolgevano tanto lavoro a terra. Alcuni con fini più danzerecci, altri più orientati al combattimento, altri fine a se stesso. Appunto per il gusto ed il piacere e la possibilità di imparare a muoversi in ogni contesto, in ogni posizione.

È ed era questo l’approccio della cosiddetta movement colture: un approccio estremamente vasto e differenziato, diverso dalla pratica sportiva vera e propria, che ha come obiettivo la competizione e nella quale gli allenamenti hanno solo quello scopo, e diverso anche dal fitness e bodybuilding vero e proprio, nei quali l’aspetto estetico la fa da padrone.

Cambia completamente il paradigma: l’allenamento diventa il centro di tutto, non solo il fine per raggiungere un determinato scopo (fisico o di performance). Il tragitto che compiamo per giungere ad una determinata destinazione diventa quasi più importante della destinazione stessa.

Ok ora sono capace di tenere una verticale libera per 30 secondi, ma quante cose ho imparato in questi mesi/anni nei quali ho studiato questa “materia”? Come si è ampliato non solo il mio bagaglio di movimenti, ma quello di esperienze, quello emotivo e come è cambiato il mio cervello ed il mio corpo?

L’abilità fondamentale non diventa più la forza, la flessibilità, o saper eseguire un movimento x, ma saper imparare ad apprendere. Sfruttare sempre meglio l’idea di neuroplasticità di cui tanto abbiamo sentito parlare e letto che è la capacità fondamentale dell’essere umano che ci distingue da tutte le altre specie che popolano il pianeta.

L’uomo è per definizione adattabile, creativo. Non ci stiamo allenando per diventare bravi ballerini, verticalisti, sollevatori di peso o altro. Ci stiamo allenando per diventare più creativi. Tutto è soggetto al cambiamento, per sopravvivere dobbiamo imparare ad adattarci. Come dicce Jozef Frucek, il creatore di FM:

“diversity brings immunity”.

Jozef Frucek

Allo stesso tempo, come sottolineato anche in vari miei post precedenti, non possiamo sperare di portare avanti tantissimi “argomenti”, “materie” allo stesso tempo. Il modo migliore è prendere uno spot/qualità/movimento etc e praticarlo per diverso tempo (mesi/anni). Apprendere quello che possiamo e poi fare un passo avanti e cambiare. Dobbiamo rimanere in quel limbo, quella sottile linea rossa come piace chiamarla, nel quale la maggior parte delle cose avviene in maniera riflessa, ma ancora non siamo caduti nella trappola del “pilota automatico”.

Sicuramente anche le fasi più avanzate di pratica sportiva, richiedono costante attenzione, concentrazione, dedizione … ma i guadagni dal punto di vista neurologico sono estremamente inferiori.

Attenzione,  disclaimer con un punto esclamativo grosso come una casa: nessuno di noi sarà mai un vero e proprio mover, l’essere perfetto (me lo immagino come un Super Sayan di 10 livello) capace e competente in ogni situazione, in ogni movimento, estremamente adattabile ed eclettico. Tutti noi avremo punti forti e punti carenti e soprattutto, propenderemo verso certe pratiche semplicemente perché ci piacciono. Punto.

Io nello specifico ho deciso per il momento di concentrarmi su alcuni aspetti: arte dello spostamento (ADD, chiamato anche parkour anche se parkour non è ma qui inizierebbe una digressione troppo lunga), lavori di forza a corpo libero e con sovraccarichi, acrobatica e soft acrobatica, floor work, locomozioni, giocoleria e poco altro.

E ora veniamo al clou di questo mio racconto, ossia il floor work.

Innanzitutto che definizione dare del FL? Io la metterei così:

“per floor work si intende tutta la parte di pratica che si svolge a livello del pavimento, con il corpo quindi che si muove più possibile vicino alla superficie dello stesso e che non ha come fine né la danza, né il combattimento, quanto la capacità di imparare a muoversi con orientamenti del corpo diversi, sfruttando come superfici di appoggio qualsiasi parte dello stesso e non solo i piedi (come avviene nella stazione eretta).”

Ovviamente questo è il nostro modo di concepire il FL, per differenziarlo da quello che vediamo in altri ambiti. Non abbiamo quindi l’ambizione di diventare bellerini, ma quella di imparare ad usare questo mezzo (possiamo considerare il pavimento come tale) per la nostra crescita personale.

Sembra tutto troppo filosofico?  No è semplicemente logico.

Se la forza di gravità è per noi una delle costanti principali per la nascita, lo sviluppo, la crescita, l’infortunio, la morte… se questa forza ci influenza così tanto nell’arco della nostra vita perché non sfruttarla a nostro vantaggio cercando di ridirezionarla in maniera differente. O meglio, dato che essa avrà sempre la stessa intensità e direzione, perché non cambiare noi stessi la nostra configurazione corporea per subirne gli effetti in maniera differente ?

Arriviamo alla parte più tecnica.

Abbiamo un sistema nella nostra testa preposto a fornirci in ogni istante 2 informazioni ben precise:

-dirci dove è il basso, ossia in che direzione “tira” la forza di gravità
-informarci sulle accelerazioni che il nostro corpo (nello specifico la nostra testa) subisce.

Questo è il sistema vestibolare che con i suoi canali semicircolari è capace di percepire direzione ed intensità delle accelerazioni angolari e gli organi otolitici (utricolo e sacculo) che percepiscono le accelerazioni lineari.

Rappresentazione 3D del vestibolo

Questi ultimi scaricano in maniera continua informando il nostro SNC sulla posizione della nostra testa. Se noi passiamo la maggior parte dei nostri allenamenti, ma in generale della nostra vita in posizione eretta, essi manderanno sempre più o meno lo stesso tipo di informazioni.  Come sappiamo il nostro cervello ha bisogno di varietà di stimoli per potersi mantenere vivace ed attivo. Se pensiamo allora al nostro orecchio interno, quali possono essere gli stimoli e le variabili più importanti per esso:

-adottare posizioni della testa e del corpo in generale più diverse possibile da quello che facciamo nella quotidianità

-utilizzare intensità sempre diverse delle stesse.

Facciamo qualche esempio: correre a diverse intensità ed con cambi di direzione, saltare, rotolarsi, lavorare in inversione (come può avvenire nelle verticali e con l’acrobatica), rotolarsi, fare floor work… tutte queste attività sono di fondamentale importanza per chi ha come obiettivo quello di allenare il proprio sistema vestibolare in maniera precisa. E per quale motivo è importante tenerlo attivo? Beh insieme agli occhi, la maggior parte del controllo motorio e posturale avviene grazie all’orecchio interno. Abbiamo visto che, secondo la gerarchia nervosa, il sistema propriocettivo è quasi secondario. Questo però se esso viene preso in esame in maniera isolata.

Sappiamo però che tutti i sistemi cooperano sempre in ogni istante per darci informazioni più precise ed affidabili possibili e da ciò ne deriva un’informazione fondamentale. Tranne rari casi specifici, il modo ideale per allenare e ricondizionare un qualsiasi sistema è farlo in maniera integrata. Se per esempio il mio orecchio interno presenta dei piccoli deficit eseguire esercizi isolati per esso (VOR, VOR-C, esercizi visivi etc), non sarà sufficiente per completare il lavoro. Probabilmente in un primo momento potrebbe essere utile attivare un dato sistema in maniera isolata, ma il nostro scopo è quello di presentare prima possibile stimoli complessi  al nostro cervello per permettergli un adattamento superiore.

Esecuzione di un esercizio di VOR

È in questo che ci può venire incontro il FL: esso rappresenta uno stimolo diverso dato che fondamentalmente si svolge con posizioni della testa tendenzialmente perpendicolari rispetto al solito; ad esso andiamo ad aggiungere uno stimolo tattile diverso (invece che avere solamente la pianta dei piedi che tocca il pavimento, avremo tutto il corpo o comunque diverse parti di esso a terra); aggiungiamo anche uno stimolo visivo diverso e movimenti completamente diversi rispetto a quelli che si possono effettuare in piedi.  Il tutto si svolge in una situazione di maggior sicurezza, con zero possibilità di cadere e con inferiori possibilità di infortunio.

Questo aspetto non è da sottovalutare per nulla: con questa chiave di lettura vediamo che è possibile proporre il FL non solo a persone giovani che vogliamo plasmare con un’ esperienza più multilaterale possibile, ma anche ai più anziani che si troveranno più sicuri a terra.

Ricordiamo però anche il principio della specificità. Se vogliamo allenare l’equilibrio di una persona attraverso stimoli diversi, dovremo poi ricordarci di portarli di nuovo in piedi per farli adattare meglio nella posizione nella quale passeranno il 90% della loro vita.

Cambiando capitolo altro aspetto interessante del lavoro a terra (tra i tanti altri) è quello di essere un ottimo allenamento per la memoria. Oltre a saper eseguire i singoli movimenti, dovremmo poi essere capaci di creare e/o riprodurre sequenze degli stessi più o meno lunghe.

Dopo aver quindi isolato un movimento ed averlo appreso a livello tecnico è importante saperlo integrare con altri movimenti già appresi. Per farlo andremo a creare delle sequenze più o meno lunghe che sarà poi cura nostra e dei nostri allievi ricordare e ripetere. È per questa precisa ragione che le arti marziali con le loro forme e sequenze, e la danza con le sue coreografie vengono sempre consigliate come sport adatti ai più anziani per mantenere un cervello attivo, sia come prevenzione che come allenamento, anche in presenza di malattie neuro-degenerative come Parkinson ed Alzheimer.

La memoria è importante non solo quando facciamo delle sequenze prestabilite, ma anche quando andremo ad improvvisare. Per poterlo fare in maniera ottimale, non dovremo essere solo dotati o comunque aver allenato la nostra creatività, ma anche avere una buona memoria e ricordarsi tutti i movimenti che abbiamo in precedenza appreso! Ci tengo a sottolineare anche un altro aspetto. Non sempre dobbiamo essere sicuri che la tecnica dei singoli movimenti sia perfetta e pulita al 100% prima di inserirla in sequenze e/o improvvisazioni. Se dovessimo essere sicuro di questo non andremo mai a progredire e mettere insieme gli elementi, in quanto non potremo mai essere sicuri di essere perfetti in nessun movimento. Secondariamente mettere invece le singole tecniche in sequenze prestabilite o no ci permetterà di essere più sicuri nella loro esecuzione e farle in maniera più intuitiva e meno razionale. Possiamo infatti dire di conoscere davvero un movimento quando riusciamo ad eseguirlo in maniera quasi autonoma e senza eccessive preparazioni (il classico esempio è guidare, camminare, e tutte le altre attività che oramai abbiamo assorbito come pattern semi-automatizzati).

Sembrano osservazioni banali, ma vi assicuro che non sempre si fa attenzione a queste piccole sfumature che possono comporre un allenamento estremamente vario, efficace ed intelligente.

Se ancora non avete mai provato il floor work o se invece lo state già praticando provate a leggere questa pratica grazie a questi due nuovi punti di vista. La neurologia infatti non ci dice solamente cosa fare e come farlo, ma ci permette anche di spiegare le motivazioni che stanno dietro alle scelte che compiamo. Chiediamoci sempre il perché di tutto quello che facciamo (questo è rivolto all’allenamento, ma non solo) e non accettiamo i dogmi. Se vogliamo essere degli ottimi allenatori e praticanti chiediamoci: come mai da “mover” voglio allenare le verticali/floorwork/locomozioni/kettlebell/bilancieri/corsa (inserite il termine che volete)? Semplicemente perché lo fanno tutti gli altri o ci sono delle motivazioni psico-bio-neurologiche dietro a questa scelta (rircordate anche che “perché mi piace, mi diverte” è una scelta spesso più che sufficiente). Teniamo sempre attento il nostro spirito critico.

Se sei interessato a partecipare alle formazioni di Floor di Daniele clicca sul bottone e verrai reindirizzato alla pagina del corso

Dott. Daniele Baioletti

Mover e preparatore atletico

Esperto di neurologia funzionale applicata allo sport

Docente 4MOVE Academy

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