Il mal di schiena da un punto di vista neurologico

L’OMS (l’organizzazione mondiale della sanità) censisce il mal di schiena come una tra le prime cause di invalidità che comporta spese alte sia per la sanità pubblica sia per le imprese.

Il mal di schiena può avere origine da diversi fattori e spesso, proprio in virtù di questo, le figure professionali di riferimento non sanno bene cosa valutare e come agire per cercare di curarlo.

La zona della schiena statisticamente più colpita è la parte lombare e presenta diverse caratteristiche di dolore. La distinzione può essere effettuata su numerose specifiche tra cui la localizzazione che può interessare un punto fisso e ben delimitato o una zona maggiormente diffusa.

Di solito in mancanza di accertamenti medici, come risonanza magnetica o raggi x, il primo pensiero è sempre quello di un danno strutturale, ad esempio ernia discale o protrusione, nella zona della schiena dove si avverte il dolore. In questi casi, per fare una prima valutazione riguardo al tipo di problema, esistono molti test e accertamenti come il TEST Lasegue, utilizzato per capire se abbiamo una compressione della radice nervosa e una conseguente  radicolopatia o il test di ADAMS, che serve per valutare la  mobilità e la scoliosi.

Spesso avviene che le diagnosi diano un esito negativo, dunque uno degli accorgimenti che trova maggior impiego in questi casi è quello di immobilizzare la zona coinvolta o evitare i movimenti, sia quelli banali come ad esempio le estensioni e le rotazioni, sia quelli sportivi che richiedono maggiori sforzi. Purtroppo però questa strategia fa parte di un insieme di falsi miti che tenteremo di sfatare proprio all’interno di quest’articolo basandoci, per farlo, sugli ultimi studi legati alle neuroscienze. Non tratteremo nello specifico della fisiopatologia del dolore, ma ci dedicheremo ad una panoramica di tutti i sistemi e le strutture coinvolte. Infine mostreremo un trattamento diverso e più efficace rispetto al solito approccio strutturale.

Generalmente una causa, se non la prima, che viene erroneamente ipotizzata è la debolezza muscolare dell’addome che, come conseguenza, produce instabilità della colonna e dunque non permette di proteggere la schiena durante i lavori pesanti o gli allenamenti con sovraccarico. Altre cause sono spesso attribuite a posture sbagliate, al lavoro o nella vita quotidiana, al materasso o al freddo. In realtà, anatomicamente, la zona lombare della schiena è formata da vertebre con grandezza superiore alle altre e quindi con maggiore capacità di resistenza al carico. Inoltre anche la dimensione dello spessore dei dischi intervertebrali è maggiore rispetto a quelli delle vertebre toraciche, questo sempre per attutire i carichi. Tutte le vertebre sono saldate da fortissimi legamenti che le fissano strutturalmente senza impedire il movimento al di là dei range fisiologici, infine tutto è coperto e collegato dalla componente muscolo-tendinea. Quindi la struttura è estremamente solida e nello stesso tempo mobile e può, correttamente, sorgere il dubbio che “l’ipotesi del materasso” potrebbe non essere sufficiente a giustificare il dolore percepito.

Per fare più chiarezza su questo quadro di non semplice analisi, negli ultimi anni, è aumentata notevolmente l’attenzione della comunità scientifica sul dolore, sulla sua genesi e sulle motivazioni che pilotano la sua esistenza. Gli ultimi studi sulle neuroscienze hanno dimostrato che la percezione del dolore è un segnale prodotto dal sistema nervoso centrale (SNC), con la funzione di avvisarci di un potenziale pericolo. Esso dipende molto dal fattore culturale e dall’esperienza personale, e questa scoperta sta cambiando lentamente il tipo di approccio e di terapia [1,2,3]. Riguardo al dolore cronico è stato inserito il  concetto di sensibilizzazione centrale [4], si tratta cioè di una forma di “registrazione sbagliata” del cervello, che inizia a percepire tutti gli stimoli in maniera alterata e di conseguenza, produce dolore senza che vi sia un danno reale al zona o tessuto coinvolto (iperalgia, allodinia).

La sensibilizzazione centrale è solo uno dei modelli adottati per spiegare un fenomeno complesso ed estremamente multifattoriale, essa infatti è correlata ad una visione molto più vasta che il Prof. R. Melzack introduce con i suoi studi tra la metà e la fine del ‘900 e che definisce “Pain Neuromatrix” cioè una matrice di funzioni sensoriali, cognitive e sociali che, se alterata, può produrre tra i vari effetti dolore e, al lungo andare, modificazioni neuroplastiche come la sensibilizzazione centrale [2,5,6]. I modelli di output della neuromatrice producono le dimensioni dell’esperienza del dolore e le risposte omeostatiche e comportamentali concomitanti.

Fatto questo piccolo incipit sul dolore torniamo alle nostra colonna vertebrale: ogni vertebra forma un’articolazione sopra e sotto attraverso il corpo vertebrale e alle apofisi trasverse e spinose dove sono presenti faccette articolari disposte in angoli diversi che permettono il movimento solo in piani e gradi specifici. Da ogni articolazione escono i nervi spinali, con duplice funzione: sensitiva e motoria.

Essi vanno ad innervare diverse zone del corpo. Le vertebre e il disco sono poco innervate rispetto ad altri tessuti, le uniche terminazioni nervose presenti sono dette nerva nervorum, che sono prolungamenti nervosi che provengono dai nervi di origine nocicettiva di dimensione maggiore e formano una specie di ragnatela con lo scopo di coprire diverse zone anche lontane al nervo dove si ramificano. Questo passaggio di anatomia ha un significato di grandissima importanza: il dolore in una zona può non corrispondere alla zona del problema. Ovviamente già questa costatazione ci allontana non poco dall’assunto “dolore lombare = ernia o protrusione lombare” e ci permette di ragionare su cause più estese con una visione decisamente più globale del sistema uomo.

Ma torniamo alla nostra panoramica anatomica della colonna, e analizziamo i muscoli che operano su questa. Possiamo distinguerli in due categorie diverse: muscoli posturali tonici involontari profondi e muscoli fasici volontari superficiali.

I primi sono controllati da aree celebrali con nuclei situati nel tronco encefalico mentre il controllo dei secondi parte dalla corteccia. Il tono dei muscoli assili tonici viene regolato dalle formazioni reticolari che contengono nuclei nervosi nel ponte e bulbo. Quest’ultimi hanno funzione di controllo dei muscoli posturali intrinseci e degli arti sia flessori che estensori.

La muscolatura fasica volontaria, invece, è gestita dai centri superiori della corteccia e dai nuclei della base insieme al cervelletto e dallo stesso tronco encefalico.

Il tronco encefalico è la parte del cervello non razionale, involontaria, che ha la funzione di governare le funzioni vitali del corpo, come la respirazione e la frequenza cardiaca. La corteccia, invece, è la parte volontaria e razionale del cervello. Le due parti sono intimamente connesse: le formazioni reticolari ricevono informazioni da un area specifica della corteccia chiamata area premotoria frontale che è deputata a ideare e pianificare solo a livello cosciente il movimento volontario attraverso la muscolatura fasica.

Con questa connessione, le formazioni reticolate, possono predire e modificare il tono muscolare tonico in base a quello che il cervello sta pianificando a livello motorio.

Questo sistema viene chiamato feedforward, e spiega come il nostro cervello, modifica anticipatamente la muscolatura posturale tonica, in base alla situazione in cui ci troviamo.

Questo sistema complesso viene alimentato da input sensoriali, dalla propriocezione e dalle informazioni visive e vestibolari che in momenti prolungati di sedentarietà e scarsa attività fisica mandano il sistema in ipofunzionamento. Di quelli sopra elencati il principale input che il cervello riceve è dato dal sistema visivo, lo possiamo definire come il faro del corpo. Possiamo distinguere la vista, in capacità diottriche e capacità oculomotorie, le prime riguardano patologie dell’occhio stesso, mentre le seconde sono correlate alla capacità dei muscoli estrinseci dell’occhio di metterlo in condizioni di muoversi nel campo visivo e vedere il target attraverso riflessi. Le problematiche oculomotorie vengono spesso dimenticate e sottovalutate, ma hanno un impatto enorme nel controllo posturale e motorio e proprio per questo , ci possono essere correlazioni con il dolore cronico lombare. Ogni occhio ha 6 muscoli oculomotori innervati da 3 nervi cranici il 3, il 4 ed il 6, essi mandano informazioni ad entrambi gli emisferi del cervello principalmente nei lobi occipitali situati nella parte posteriore della corteccia e sono inoltre collegati alle formazioni reticolari e al cervelletto. Per questo, se i muscoli degli occhi non lavorano coordinati, il cervello riceve e integra informazioni scorrette, che alterano la postura del corpo. Faccio un esempio pratico: i muscoli del mio occhio destro non riescono a fissare gli oggetti in alto a destra, ogni volta che guardo in alto i muscoli del collo e della schiena sono sovraccaricati in estensione e questo movimento, a livello miofasciale, provoca ipertono dei muscoli della zona e conseguente lavoro articolare eccessivo delle faccette articolari della colonna lombare che si traduce in un’infiammazione e dunque produce dolore.

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Come detto sopra, la vista è un input sensoriale primaria, per questo abbiamo un sistema che ci garantisce che lo sguardo possa essere sempre verso l’orizzonte. Questo è il compito del sistema vestibolare che influisce nella stabilità e funzionalità della postura e muscolatura della schiena grazie alle connessioni nervose con i muscoli e con le zone del corpo. Vi sono principalmente 3 riflessi: riflesso vestibulo oculare, vestibolo colico, vestibolo spinale. In base alla denominazione attiva i muscoli delle 3 parti del corpo, per garantire un equilibrio che permetta di avere lo sguardo in avanti. I nuclei vestibolari originano dal tronco encefalico e dal bulbo e si collegano con il cervelletto e con le formazioni reticolari per garantirei riflessi in risposta alle situazioni e agli input. Il sistema funziona come una livella da carpentiere, in questo caso al posto della “bolla” ci sono organi con un gel interno che in base agli spostamenti della testa attiva recettori i quali, a livello centrale, fanno azionare muscoli in diverse parti del corpo:, in particolare muscoli oculomotori nella stessa direzione del movimento della testa, muscoli del collo e muscoli estensori della colonna.

1 – La respirazione partecipa da un punto di vista fasciale alla salute della schiena: il sistema miofasciale della cassa toracica, è intrecciato e vasto, un accumulo di tensioni e ipomobilità può generare dolori in varie parti del corpo.
2 – Fattore articolare: le articolazioni coinvolte durante le fasi di inspirazione ed espirazione, in alterazioni della meccanica respiratoria, coinvolgono molte strutture che a loro volta influenzano i muscoli connessi.

3- Fattore muscolare, inteso come la capacità che ha di stabilizzare e mantenere le viscere interne e una pressione adeguata a stabilizzare le vertebre: una muscolatura ipotonica, spesso, non riesce a mantenere gli organi interni e le strutture ossee durante sforzi o movimenti e questo pregiudica la mobilità e la protezione della colonna. Il diaframma è uno dei principali muscoli respiratori che ha questa funzione, insieme al traverso dell’addome ed ai muscoli intercostali e addominali obliqui.

Ho brevemente accennato a questi sistemi poiché sono per gerarchia i più importanti, ma non sono i soli a concorrere alla salute e al funzionamento della nostra colonna. Dedichiamo ancora qualche considerazione riguardo a quanto già detto nella parte iniziale di questo articolo, ossia di come sia difficile fare una diagnosi corretta sulle cause del mal di schiena, in virtù del fatto che si tratta di un dolore indefinito poiché molteplici possono esserne le cause. Differentemente da come si possa pensare, infatti, una ricerca di neuroscienza [3], ha dimostrato che la correlazione tra il dolore percepito e il danno reale è molto bassa. Questo significa che se il problema non è dovuto a un trauma diretto, per risolverlo, non ha senso immobilizzarsi. Così facendo il nostro corpo perde funzionalità ed il nostro cervello, non attivandosi, si impigrisce sino a creare un circolo vizioso: uno dei motivi per cui la mancanza di movimento è uno dei principali problemi della nostra epoca ed uno dei motivi per cui l’incidenza di mal di schiena è oramai alle stelle.

Il nostro modo di concepire il movimento grazie alla neurologia ci permette di prendere in considerazione diverse metodologie terapeutiche e non da ultimo ci consente di dare rilievo alla stimolazione sensitiva esterocettiva e interocettiva del nostro cervello.

I trattamenti convenzionali si limitano alla cura della parte della schiena interessata dal dolore, senza fare una valutazione specifica e generale sul singolo caso di ogni persona. La postura e il movimento nascono dal nostro cervello sotto forma di schemi suddivisi in altri piccoli sottoschemi che impariamo grazie alle esperienza vissute sotto forma di stimolazione sensitiva. Il nostro cervello utilizza tutti gli organi che ha e registra ogni schema abbinando tutte le sensazione che ha provato durante quella esperienza. Questo processo si chiama stacking. Quindi quando uno o più sistemi mandano informazioni sensitive sbagliate, il cervello le integra creando schemi motori disfunzionali che, nel medio e lungo termine, possono creare anche danni strutturali.

Credo fortemente nella capacità plastica del corpo e, dato che sono molti i sistemi che lo controllano, ritengo che cercare di rieducare esclusivamente uno solo di questi sia sbagliato o almeno incompleto.

Nella mia personale esperienza formativa ho avuto la fortuna di incontrare un notevole numero di metodi e punti di vista differenti, ma applicandoli ho sempre avuto la percezione che mancasse qualcosa per il benessere del cliente. E’ stato nell’esperienza sul campo e nel confronto con il team HMO di 4MOVE che sono riuscito a trovare  un screening  funzionale globale del paziente che mi soddisfa. Questo, ovviamente, non significa che altri metodi o altre valutazioni siano inutili, anzi credo che la cosa migliore sia avere più dati possibili da utilizzare nel ragionamento clinico per procedere con il trattamento.

L’assessment HMO parte da una visione neurologica che, dopo un anamnesi sulla storia personale del cliente, si sviluppa sul “gait assessment”, cioè l’analisi della camminata Questa viene utilizzata per valutare quella che noi definiamo impronta neurologica e che sarà il punto d’inizio per sviluppare ipotesi della causa del  problema che porta alla disfunzione. A seguito di questa prima valutazione passeremo ad utilizzare test specifici di equilibrio con perturbazione, ROM articolare, test kinesiologici di forza come re-test dopo il trattamento. Per  “trattamento” intendo una routine di esercizi e stimolazioni che hanno la funzione di reintegrare tutti i sistemi coinvolti nella postura e nel movimento. Questi verranno somministrati secondo logiche crescenti in termini di stimolazione a livello centrale, partendo quindi da stimoli propriocettivi, per giungere a stimoli vestibolari passando dai visivi. Come ultimo step svilupperemo il lavoro in stacking cioè integrando i 3 canali di cui sopra. Con questo approccio vogliamo che il nostro cliente riesca a riattivare tutti i sistemi di controllo del movimento e  della postura e, con consapevolezza, riesca a gestire il suo problema con una tipo di rieducazione neurocognitivo.

Chiaramente tutto ciò può e deve essere complementare ai trattamenti medici, fisioterapici o osteopatici, diventando in tutto e per tutto l’anello mancante al percorso!

Con questo articolo discorsivo non sono voluto entrare, volontariamente, nello specifico: lo scopo è far conoscere l’evoluzione e lo stato dell’arte della scienza al fine di produrre un cambio culturale in tutte le figure che lavorano e lavoreranno intorno ad un problema annoso come il “dolore”.

Dott. Marco Maccari

fisioterapista e chinesiologo specializzato in neurologia funzionale

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Bibliografia

[1] Explain Pain, Dr David S. Butler and Prof. G. Lorimer Moseley, NOI Group

[2] Ronald Melzack, Ph.D., Pain and the nuromatrix in the brain, Journal of Dental Education,  Volume 65, No. 12, dec 2001

[3] Moseley L., Unraveling the barriers to reconceptualization of the problem in chronic pain: the actual and perceived ability of patients and health professionals to understand the neurophysiology, J Pain. 2003 May;4(4):184-9.

[4] La Semeiotica Del Dolore 2a Edizione: I presupposti teorici e la pratica clinica, G.Orlandini, Antonio Delfino Editore

[5] From the gate to the neuromatrix. Ronald Melzack. Pain, suppl 6 (1999) s 121-126

[6] R. Melzack, P.D. Wall, On the nature of cutaneoussensorymechanisms

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